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venerdì 8 marzo 2013

Argo: navigando a vista.



Siamo nel 1979, a Teheran, negli anni finali della rivoluzione iraniana, nel bel mezzo di conflitti e interessi di portata mondiale. Lo scià si trova negli Stati Uniti per curare il cancro che lo affligge da tempo, e la cosa è chiaramente mal vista dai rivoluzionari che hanno appena preso il potere. Si teme un intervento militare degli USA per rimettere lo scià al suo posto e il malcontento e la tensione sono alle stelle.
Il mondo sembra pronto ad aspettarsi qualsiasi cosa, anche che l’ambasciata americana sia assalita dai militanti e che le 52 persone del corpo diplomatico siano prese in ostaggio. Ma tra queste ce ne sono 6, dotate di maggior fortuna e sangue freddo, che riescono a scappare e a rifugiarsi presso l’ambasciata canadese.
Interverrà la Cia, nello specifico Tony Mendez, esperto in salvataggi di ostaggi, a occuparsi del problema di come far rientrare negli Stati Uniti le sei persone nascoste.
L’idea sarà quella di far finta di dover girare un film.
Ma non accade quello ci si aspetta. Non c’è nessun film nel film. Proprio come nella realtà. Solo tutta la cornice, solo il nascosto e il superfluo.
Fin qui i presupposti perché se ne faccia un bel film, ci sono tutti…
Ma dopo averlo visto ci sono delle cose che proprio non tornano.
Ad esempio il perché l’attenzione debba concentrarsi su 8 persone che tutto sommato stanno bene, anziché su 52 che hanno il fucile puntato contro. Si tratta di una storia vera, quindi è chiaro che non si potevano fare dei cambi troppo evidenti rispetto agli eventi accaduti, fatto è che allora l’attenzione della regia avrebbe dovuto essere rivolta maggiormente agli 8, ai loro profili psicologici, alle loro paure, al loro disagio. E invece il film si sviluppa tutto sulle facce di Ben Affleck (!), sulla simpatia contagiosa di John Goodman e sulle dinamiche all’interno della CIA che ormai, da qualche anno a questa parte, esce dai film con un’immagine sempre meno idilliaca. Il che potrebbe fare onore allo spirito americano di sapersi mettere in discussione, però francamente credo siano in molti as essere un po’ scocciati di vedere il solito eroe di turno che deve lottare accanitamente contro tutto e tutti. Di questo filone trito e ritrito ne è emblema la scena dell’aeroporto. Assistiamo al momento di suspance suprema un pò increduli. Si prevede tutto, ma proprio tutto quello che accadrà mentre i collaboratori della CIA improvvisamente si svegliano e si attivano contro il tempo fino a trovare il coraggio di ribellarsi ai rispettivi capi, quando per tutto il film non erano stati altro che marionette! 
Questo velo di ipocrisia finale che caratterizza buona parte dei film appartenenti a un genere cinematografico che definirei di finta denuncia, allo spettatore europeo genera un po’ di disagio.
Se fare il regista vuol dire “Ehi guardate come sono bravo a fare un film rispettando tutti gli stereotipi concessi dal caso”, allora diciamo che Ben Affleck l’Oscar l’ha proprio meritato!






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