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mercoledì 24 aprile 2013

Viva la libertà, se la follia è passione

Viva la Libertà locandina
Trama
Il segretario del maggior partito di opposizione Enrico Olivieri (Toni Servillo) senza più passione per politica e vita, atterrito e bloccato dalla crisi in cui ha gettato il suo movimento, alle soglie della campagna elettorale si dà alla fuga in Francia dove trova rifugio presso l'amica Danielle (Valeria Bruni Tedeschi), una segretaria di edizione sposata con un regista. Il  collaboratore di Olivieri, Andrea Bottini (Valerio Mastandrea) architetta un piano ardito: rimpiazzarlo con il fratello gemello Giovanni Ernani (Toni Servillo), un filosofo geniale ma in cure psichiatriche.



Il film di Roberto Andò, tratto dal romanzo dello stesso autore Il trono vuoto è profetico in questo momento storico in Italia - come è già capitato con Habemus Papam di Moretti. Viva la libertà misura i flebili battiti della morente Sinistra, utilizzando la crisi delle idee e quella personale dell'individuo per raccontare come convinzione e follia visionaria siano fondamentali negli snodi cruciali dell'esistenza.
In Giovanni Ernani (Toni Servillo), il filosofo geniale e ispiratore di folle, troviamo echi del pirandelliano Enrico IV; per lui la messa in scena diventa il sistema per integrare totalmente la follia con la realtà e per condurre il filo degli eventi. Dall'altro lato, la fuga in Francia di Enrico Olivieri (Toni Servillo), il segretario di partito, offre il momento per  un'analisi del cammino percorso nella vita, grazie ai ricordi condivisi con Danielle (Valeria Bruni Tedeschi) una ex del passato. Scaturisce allora una riflessione su cosa il tempo cambia di noi rispetto a quanto credevamo e pensavamo, su come la rassegnazione e il cinismo trasformino i nostri bei progetti in meccanismi che ci paralizzano.
I fratelli, due lati della stessa medaglia, comunicano con l'emozione e con quel linguaggio speciale che si dice spetta solo ai gemelli, escamotage con cui Andò spiega i loro mutamenti psicologici, risolve i salti temporali e gli scambi di ruolo - effettivi cambi di occhiali, scarpe e (s)pettinature - senza  farli mai incontrare e senza dare troppe motivazioni a livello narrativo. In fondo i gemelli vivono un'unica storia: uno mette in scena se stesso, l'altro, nascosto e lontano, assiste alla messa in scena. Fino a che, un ulteriore scambio di vite, vero o presunto,  farà chiudere il film in modo circolare. Le loro vicissitudini, narrate in parallelo, prendono corpo attraverso le variazioni del volto di Servillo, che coniuga magistralmente l'anima malinconica sorrentiniana con quella del guitto napoletano utilizzata da Ciprì.
Fondamentale la galleria di personaggi secondari, poetici o caricaturali, dalla moglie innamorata  e delusa (Michela Cescon) a Danielle affascinante e amorosa, dalla collega di partito aggressiva (Anna Bonaiuto) alla giovane assistente di set sexy e spensierata, dal giornalista incredulo alla bambina cinefila, e via dicendo, spesso ripresi in sequenze surreali sono necessari a far capire allo spettatore quanto lo scambio di identiche identità  riesce a celare.
Al collaboratore Bottini e al regista franco-asiatico Mung (il marito di Danielle) Andò affida il sottotesto del film: il parallelismo tra cinema e politica. Se << La politica è un' invenzione costante della realtà >> come afferma Mung, allora questi ambiti giocano similmente a creare una visione del mondo mescolando verità e immaginazione. I due personaggi amplificano il tema del doppio, entrambi burattinai di vite e di fatti immaginari, poiché in fondo << Il cinema e la politica non sono poi così lontani: in entrambi coesistono il bluff e il genio >>. Non a caso il luogo dove Enrico Olivieri  si sente di nuovo a suo agio e vivo è proprio un set cinematografico dove si improvvisa attrezzista, lui che da giovane sognava di fare il regista ed è finito invece a fare il politico. Bottini (un Mastandrea machiavellico e mite al tempo stesso) crea il copione degli eventi, ne è il regista, si lascia commuovere dalla storia che inventa proprio come un artista e spia la vita di soppiatto con il voyeurismo  del cinefilo. Mung, cineasta di mestiere, attraverso affermazioni rivelatrici su cinema e politica svela la realtà come un profeta e parlando di Fellini, maestro (caro a Andò) di inganni e sogni, arriva a ricordarci il fallimento culturale della nostra epoca.
Della libertà rimane ben poco; alla fine essa ci allontana da chi siamo se serve a sfuggire solo momentaneamente alle responsabilità. Andò sembra suggerire che i ruoli, i limiti e le dipendenze - in questo caso psicofarmaci o politica - sono quei perimetri umanissimi e necessari a circoscrivere il senso della vita e cosa possiamo o vogliamo essere in quel quotidiano che ci affligge sempre uguale a se stesso. Più della libertà, per l'autore conta la passione. Il grande bluff è proprio l'immaginazione della follia, quella sì,  se trova un terreno fertile, è ancora capace di  far superare le impasse, liberare, convincere e alimentare i sogni (se poi non si realizzano è un altro conto). E se non saranno gli altri a crederci, qualcosa di impercettibile sarà comunque mutato in noi: che siano i capelli scompigliati o un nuovo motivetto in testa, sarà la sensazione di sentirci cambiati.
(m.a.z)



mercoledì 10 aprile 2013

Il lato positivo: quando la commedia si fa amara per ripigliarsi un pò!



Se in questi giorni vi capitasse di incappare nella visione de Il lato positivo di David O. Russell, senza dubbio due ore piacevoli ed emozionanti ve le sareste accaparrate!
La vicenda è di per sè toccante. Si narra di un trentenne bipolare, Pat, che dopo essere stato chiuso in un ospedale psichiatrico per otto mesi, torna a casa dai suoi. 
Nonostante tutte le buone intenzioni e l'ostinata voglia di vedere il lato positivo delle cose, gli tocca affrontare l'ossessione per la ex moglie, il rapporto non risolto con la famiglia, soprattutto con il padre (De Niro), e la complicata nuova sfida (una gara di ballo!) che la difficile ed esigente nuova conoscente Tiffany gli affibbia.

lunedì 8 aprile 2013

Un giorno devi andare, essere, sperare.


Un giorno devi andare. Dove? Evitando ogni facile ironia nella risposta all’interrogativo idealmente rivolto a Giorgio Diritti, si potrebbe ipotizzare: “Devi andare a scrivere una sceneggiatura”. Lo schema del viaggio intrapreso per (in)seguire il senso della vita (ammesso e non concesso che ne esista uno) è talmente semplice, primordiale e potente che funziona come quando ti presenti a casa di un... amico con una buona bottiglia di vino rosso: banale, certo, ma non sbagli mai e rendi tutti felici. Solo che nel film di Diritti l’idea del percorso di formazione e trasformazione, durante il quale ti perdi per poi ritrovarti, resta incompiuta, conducendo il pur fiducioso spettatore dagli scenari del documentario naturalistico, ai toni dell’inchiesta a sfondo sociale, per arrivare infine all’ormai collaudata formula de “L’isola dei famosi”, con Jasmine Trinca eliminata al televoto e spedita sull’ultima spiaggia.
Straordinaria Jasmine Trinca: regge egregiamente l’ingombrante confronto con un’Amazzonia che rischierebbe di far sparire chiunque dallo schermo e non cade nel cliché della ragazzina borghese smaniosa di integrarsi in quell'immutabile realtà degli altri, che per lei rimarrà a un certo punto solo la patinata cartolina di un viaggio. Anche se, a forza di vederla giocare coi pupi brasiliani, arrampicarsi sugli alberi e diventare un tutt’uno con una natura che più natura non si può, ricorda a tratti più Candy Candy che una novella Odissea.
Le dimensioni parallele Italia-Brasile, che a tratti paiono davvero troppo distanti sotto il profilo narrativo, rendono in tutta la sua evidenza il contrasto tra due modi di vivere la vita e Dio: il sole e la neve, il rumore e il silenzio, le strade pulite e le strade che non ci sono, i canti in Chiesa e i bambinelli fluorescenti.
La rappresentazione dei mille volti di Dio è forse l’autentico filo conduttore del racconto. Dio è dappertutto: nei veli delle suore, nei sorrisi dei bambini, nelle croci, nella pioggia che purifica, nell’evangelizzazione a tutti i costi, nella benedizione laica offerta ad un cadavere cristiano. Dio è quel segnale che prima o poi arriva per tutti. Il segnale che devi andare, essere, sperare.
Giudizio sintetico: lo affido ai commenti dei due vecchietti un po’ sordi seduti al cinema dietro di me. Mentre Jasmine Trinca rema su una barchetta:
Lui: “Ma dove sta andando?”
Lei: “Ma che ne so…Nun ce sto a capi’ gnente!”



domenica 10 marzo 2013

Amour: per niente facile, del tutto sincero.

Venerdì sera, con colpevole e ingiustificabile ritardo, ho visto “Amour” Di Haneke. Osannato, criticato, premiato: tanto, forse pure troppo. La regia è essenziale, a tratti addirittura scarna, con la telecamera che spesso pare immobilizzarsi nel rispettoso intento di non aggiungere nulla di più ai gesti, agli sguardi, alle parole, ai silenzi. Il racconto filmico è ridotto all’essenziale e in fondo è proprio questo l’aggettivo che meglio si addice al dolore “sigillato” negli spazi di una casa troppo angusta per contenerlo senza esplodere.
“Essenziale”, come il colpo allo stomaco che tanto inaspettatamente quanto inevitabilmente raggiunge lo spettatore, a cui pure il regista, quasi premurosamente, aveva svelato il finale della storia prima ancora di iniziare a raccontarla.
“Essenziale”, come quel misto di paura e impotenza che sconforta e paralizza, mettendo impietosamente l’essere umano di fronte alla sua condizione di insuperabile finitezza.
“Essenziale”, come quei titoli di testa e di coda che scorrono sullo schermo senza musica, perché la musica è vita ed era la vita dei due protagonisti.
La malattia consuma e trasforma, il confine tra la vita e la morte diviene all’improvviso evanescente, il senso di soffocamento da metaforico si fa reale, il peggiore degli incubi si avvera nella più terribile delle realtà. I corpi di Jean Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, che anche mentre si trascinano sorreggendosi a vicenda non smettono di abbracciarsi, si concedono al dramma con mirabile sobrietà e incantevole talento.
Il dibattito (pseudo)ideologico che a un certo punto si è cercato di “cucire” attorno ad “Amour” pare francamente fuori luogo. La tragedia messa in scena da Haneke non cerca consensi, piuttosto sospende il giudizio. In quel “Sei un mostro qualche volta, ma sei gentile” con cui Anne “riassume” l’amato Georges, sta probabilmente l’essenza della storia. Non ci sono né demoni né eroi; e soprattutto non c'è Dio, anche se a un certo punto “qualcuno” prova a fare capolino nella storia sotto forma di piccione, prima ricacciato dalla finestra, poi catturato e avvolto in una coperta (non si capisce bene a quale scopo).
Ci sono solo uomini, che vivono, che gioiscono, che soffrono, che muoiono. E che amano.
Giudizio sintetico: per niente facile, del tutto sincero.
 

venerdì 8 marzo 2013

Argo: navigando a vista.



Siamo nel 1979, a Teheran, negli anni finali della rivoluzione iraniana, nel bel mezzo di conflitti e interessi di portata mondiale. Lo scià si trova negli Stati Uniti per curare il cancro che lo affligge da tempo, e la cosa è chiaramente mal vista dai rivoluzionari che hanno appena preso il potere. Si teme un intervento militare degli USA per rimettere lo scià al suo posto e il malcontento e la tensione sono alle stelle.

giovedì 28 febbraio 2013

Les Misérables: strepitoso!




Sono finalmente riuscita a vedere Les Misérables! Prima che la distribuzione italiana me lo levasse dalle sale definitivamente...
Al di là di tutte le previsioni più rosee mi sono trovata davanti ad un'opera che riesco a definire in un solo modo: capolavoro! 
Difficilmente mi sbilancio così. Per definire capolavoro un film si deve sempre, in qualche modo, aspettare del tempo. 
Ma in barba alle consuetudini ho deciso che lo urlerò ai quattro venti: CAPOLAVOROOOOOOOOO!

lunedì 25 febbraio 2013

Oscar 2013: qualche foto qua e là...


Il conduttore della serata: Seth MacFarlane







I vincitori delle categorie: miglior attore, migliore attrice, migliore attrice non protagonista e migliore attore non protagonista.



Meryl Streep consegna il premio a Daniel Day Lewis