Trama
Il segretario del maggior partito di opposizione Enrico Olivieri (Toni Servillo) senza più passione per politica e vita, atterrito e bloccato dalla crisi in cui ha gettato il suo movimento, alle soglie della campagna elettorale si dà alla fuga in Francia dove trova rifugio presso l'amica Danielle (Valeria Bruni Tedeschi), una segretaria di edizione sposata con un regista. Il collaboratore di Olivieri, Andrea Bottini (Valerio Mastandrea) architetta un piano ardito: rimpiazzarlo con il fratello gemello Giovanni Ernani (Toni Servillo), un filosofo geniale ma in cure psichiatriche.
Il film di Roberto Andò, tratto dal romanzo dello stesso autore Il trono vuoto è profetico in questo momento storico in Italia - come è già capitato con Habemus Papam di Moretti. Viva la libertà misura i flebili battiti della morente Sinistra, utilizzando la crisi delle idee e quella personale dell'individuo per raccontare come convinzione e follia visionaria siano fondamentali negli snodi cruciali dell'esistenza.
In Giovanni Ernani (Toni Servillo), il filosofo geniale e ispiratore di folle, troviamo echi del pirandelliano Enrico IV; per lui la messa in scena diventa il sistema per integrare totalmente la follia con la realtà e per condurre il filo degli eventi. Dall'altro lato, la fuga in Francia di Enrico Olivieri (Toni Servillo), il segretario di partito, offre il momento per un'analisi del cammino percorso nella vita, grazie ai ricordi condivisi con Danielle (Valeria Bruni Tedeschi) una ex del passato. Scaturisce allora una riflessione su cosa il tempo cambia di noi rispetto a quanto credevamo e pensavamo, su come la rassegnazione e il cinismo trasformino i nostri bei progetti in meccanismi che ci paralizzano.
I fratelli, due lati della stessa medaglia, comunicano con l'emozione e con quel linguaggio speciale che si dice spetta solo ai gemelli, escamotage con cui Andò spiega i loro mutamenti psicologici, risolve i salti temporali e gli scambi di ruolo - effettivi cambi di occhiali, scarpe e (s)pettinature - senza farli mai incontrare e senza dare troppe motivazioni a livello narrativo. In fondo i gemelli vivono un'unica storia: uno mette in scena se stesso, l'altro, nascosto e lontano, assiste alla messa in scena. Fino a che, un ulteriore scambio di vite, vero o presunto, farà chiudere il film in modo circolare. Le loro vicissitudini, narrate in parallelo, prendono corpo attraverso le variazioni del volto di Servillo, che coniuga magistralmente l'anima malinconica sorrentiniana con quella del guitto napoletano utilizzata da Ciprì.
Fondamentale la galleria di personaggi secondari, poetici o caricaturali, dalla moglie innamorata e delusa (Michela Cescon) a Danielle affascinante e amorosa, dalla collega di partito aggressiva (Anna Bonaiuto) alla giovane assistente di set sexy e spensierata, dal giornalista incredulo alla bambina cinefila, e via dicendo, spesso ripresi in sequenze surreali sono necessari a far capire allo spettatore quanto lo scambio di identiche identità riesce a celare.
Al collaboratore Bottini e al regista franco-asiatico Mung (il marito di Danielle) Andò affida il sottotesto del film: il parallelismo tra cinema e politica. Se << La politica è un' invenzione costante della realtà >> come afferma Mung, allora questi ambiti giocano similmente a creare una visione del mondo mescolando verità e immaginazione. I due personaggi amplificano il tema del doppio, entrambi burattinai di vite e di fatti immaginari, poiché in fondo << Il cinema e la politica non sono poi così lontani: in entrambi coesistono il bluff e il genio >>. Non a caso il luogo dove Enrico Olivieri si sente di nuovo a suo agio e vivo è proprio un set cinematografico dove si improvvisa attrezzista, lui che da giovane sognava di fare il regista ed è finito invece a fare il politico. Bottini (un Mastandrea machiavellico e mite al tempo stesso) crea il copione degli eventi, ne è il regista, si lascia commuovere dalla storia che inventa proprio come un artista e spia la vita di soppiatto con il voyeurismo del cinefilo. Mung, cineasta di mestiere, attraverso affermazioni rivelatrici su cinema e politica svela la realtà come un profeta e parlando di Fellini, maestro (caro a Andò) di inganni e sogni, arriva a ricordarci il fallimento culturale della nostra epoca.
Della libertà rimane ben poco; alla fine essa ci allontana da chi siamo se serve a sfuggire solo momentaneamente alle responsabilità. Andò sembra suggerire che i ruoli, i limiti e le dipendenze - in questo caso psicofarmaci o politica - sono quei perimetri umanissimi e necessari a circoscrivere il senso della vita e cosa possiamo o vogliamo essere in quel quotidiano che ci affligge sempre uguale a se stesso. Più della libertà, per l'autore conta la passione. Il grande bluff è proprio l'immaginazione della follia, quella sì, se trova un terreno fertile, è ancora capace di far superare le impasse, liberare, convincere e alimentare i sogni (se poi non si realizzano è un altro conto). E se non saranno gli altri a crederci, qualcosa di impercettibile sarà comunque mutato in noi: che siano i capelli scompigliati o un nuovo motivetto in testa, sarà la sensazione di sentirci cambiati.
(m.a.z)
In Giovanni Ernani (Toni Servillo), il filosofo geniale e ispiratore di folle, troviamo echi del pirandelliano Enrico IV; per lui la messa in scena diventa il sistema per integrare totalmente la follia con la realtà e per condurre il filo degli eventi. Dall'altro lato, la fuga in Francia di Enrico Olivieri (Toni Servillo), il segretario di partito, offre il momento per un'analisi del cammino percorso nella vita, grazie ai ricordi condivisi con Danielle (Valeria Bruni Tedeschi) una ex del passato. Scaturisce allora una riflessione su cosa il tempo cambia di noi rispetto a quanto credevamo e pensavamo, su come la rassegnazione e il cinismo trasformino i nostri bei progetti in meccanismi che ci paralizzano.
I fratelli, due lati della stessa medaglia, comunicano con l'emozione e con quel linguaggio speciale che si dice spetta solo ai gemelli, escamotage con cui Andò spiega i loro mutamenti psicologici, risolve i salti temporali e gli scambi di ruolo - effettivi cambi di occhiali, scarpe e (s)pettinature - senza farli mai incontrare e senza dare troppe motivazioni a livello narrativo. In fondo i gemelli vivono un'unica storia: uno mette in scena se stesso, l'altro, nascosto e lontano, assiste alla messa in scena. Fino a che, un ulteriore scambio di vite, vero o presunto, farà chiudere il film in modo circolare. Le loro vicissitudini, narrate in parallelo, prendono corpo attraverso le variazioni del volto di Servillo, che coniuga magistralmente l'anima malinconica sorrentiniana con quella del guitto napoletano utilizzata da Ciprì.
Fondamentale la galleria di personaggi secondari, poetici o caricaturali, dalla moglie innamorata e delusa (Michela Cescon) a Danielle affascinante e amorosa, dalla collega di partito aggressiva (Anna Bonaiuto) alla giovane assistente di set sexy e spensierata, dal giornalista incredulo alla bambina cinefila, e via dicendo, spesso ripresi in sequenze surreali sono necessari a far capire allo spettatore quanto lo scambio di identiche identità riesce a celare.
Al collaboratore Bottini e al regista franco-asiatico Mung (il marito di Danielle) Andò affida il sottotesto del film: il parallelismo tra cinema e politica. Se << La politica è un' invenzione costante della realtà >> come afferma Mung, allora questi ambiti giocano similmente a creare una visione del mondo mescolando verità e immaginazione. I due personaggi amplificano il tema del doppio, entrambi burattinai di vite e di fatti immaginari, poiché in fondo << Il cinema e la politica non sono poi così lontani: in entrambi coesistono il bluff e il genio >>. Non a caso il luogo dove Enrico Olivieri si sente di nuovo a suo agio e vivo è proprio un set cinematografico dove si improvvisa attrezzista, lui che da giovane sognava di fare il regista ed è finito invece a fare il politico. Bottini (un Mastandrea machiavellico e mite al tempo stesso) crea il copione degli eventi, ne è il regista, si lascia commuovere dalla storia che inventa proprio come un artista e spia la vita di soppiatto con il voyeurismo del cinefilo. Mung, cineasta di mestiere, attraverso affermazioni rivelatrici su cinema e politica svela la realtà come un profeta e parlando di Fellini, maestro (caro a Andò) di inganni e sogni, arriva a ricordarci il fallimento culturale della nostra epoca.
Della libertà rimane ben poco; alla fine essa ci allontana da chi siamo se serve a sfuggire solo momentaneamente alle responsabilità. Andò sembra suggerire che i ruoli, i limiti e le dipendenze - in questo caso psicofarmaci o politica - sono quei perimetri umanissimi e necessari a circoscrivere il senso della vita e cosa possiamo o vogliamo essere in quel quotidiano che ci affligge sempre uguale a se stesso. Più della libertà, per l'autore conta la passione. Il grande bluff è proprio l'immaginazione della follia, quella sì, se trova un terreno fertile, è ancora capace di far superare le impasse, liberare, convincere e alimentare i sogni (se poi non si realizzano è un altro conto). E se non saranno gli altri a crederci, qualcosa di impercettibile sarà comunque mutato in noi: che siano i capelli scompigliati o un nuovo motivetto in testa, sarà la sensazione di sentirci cambiati.
(m.a.z)

















































